Tra la metà e la fine degli anni 90,una nuova scena techno si stava sviluppando nei club londinesi, un incrocio tra musica house e techno minimal; questa nuova wave venne etichetta nei negozi di dischi con il termine “tech house”.
Una techno ammorbidita grazie alle sonorità mutate dalla corrente deep house e progressive house. Geograficamente questo genere è associato ai suoni della techno di Detroit e del Regno Unito.
Questa nuova wave vide la luce all’Interno di club iconici come il The Drop, diretto da Mr. C & Plink Plonk, Heart & Soul ed il Wiggle, diretto da Terry Francis e Nathan Coles.
Negli anni duemila la Tech House rimase a lungo nell’ombra della musica Techno e trovò soltanto qualche anno dopo splendore in Spagna grazie a Marc Maya, Oscar Aguilera e Raul Mezcolanza. Le dance floor in questo periodo erano stanche di ascoltare i soliti sound techno e minimali, chiedevano altro, la discografia aveva bisogno di un cambiamento, suoni meno cupi ma allo stesso tempo non lontani da quelli in voga fino a quel momento. La dance floor voleva far festa, saltare, sorridere, urlare a squarciagola ed è proprio qui che entra in gioco la tech house, genere che inglobava a pieno tutto ciò che si stava cercando.
Da quel momento in poi la tech house conquisto’ le dance floor del mondo grazie anche al supporto di grandi artisti come Carl Cox.
Negli ultimi anni questa corrente ha avuto un’ascesa inaspettata , grazie alle sonorità “palleggianti” che vengono apprezzate persino dal mondo mainstream e radiofonico.
Molti big del mondo urban hanno deciso di integrare nel loro sound alcuni elementi che contraddistinguono prettamente la musica tech house e questo, ci fa capire, che quest’ultima è tra i generi più in voga del momento.
È un dato di fatto che oggi nelle global charts di Spotify è possibile trovare almeno una traccia su cinquanta tech house.
Che piaccia o no la tech house ha un sound irresistibile, ricco di groove e sonorità taglienti e capaci di far muovere anche i sassi.